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Quando un animale ti salva la vita: il lutto che riapre ferite profonde


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Ci sono animali che entrano nella nostra vita con una naturalezza disarmante, come se fossero sempre stati lì. Diventano compagni silenziosi, presenze costanti, custodi di momenti difficili. Ma a volte accade qualcosa che rende quel legame ancora più profondo: l’animale che ci è accanto non solo ci accompagna, ma ci salva davvero — in un momento di pericolo, in un’aggressione, in una circostanza in cui la paura aveva preso il sopravvento.

Da quel momento, il rapporto cambia. Non è più soltanto affetto: è gratitudine, sicurezza, vita. Quell’animale diventa la nostra base sicura, il simbolo di una forza che non sapevamo di avere. E quando si ammala, il dolore inizia molto prima della perdita. Lo si accudisce con la stessa dedizione con cui un tempo lui ha protetto noi, ma insieme alla cura si affaccia l’impotenza: la paura di non poterlo più difendere, di non poter restituire abbastanza di ciò che ci ha donato. È una fase che mette a nudo la fragilità reciproca, e spesso riattiva antiche ferite legate al tema del controllo, della separazione e del lasciar andare.

Quando poi muore, non perdiamo soltanto un amico: perdiamo anche quella sensazione di protezione che la sua presenza rappresentava.

Dal punto di vista psicologico, questo tipo di lutto è particolarmente complesso. La perdita di un animale che ha avuto un ruolo salvifico può riattivare — in modo spesso inconsapevole — la memoria corporea e affettiva del trauma. Il corpo ricorda la paura, il sollievo, la salvezza. E ora che lui non c’è più, può riemergere un senso di vulnerabilità, come se venisse a mancare lo scudo che ci aveva protetti dal mondo.

In terapia, è importante dare dignità a questo dolore, riconoscerne la profondità senza ridurlo a “esagerazione” o a semplice attaccamento affettivo. L’animale, in questi casi, non è stato solo un compagno: è diventato un regolatore emotivo, un punto fermo attorno a cui la psiche ha potuto riorganizzarsi dopo l’esperienza traumatica.

Elaborare questo lutto significa allora integrare dentro di sé la funzione che lui aveva nel mondo esterno: quella di protezione, calma, forza. Significa trasformare la memoria della sua presenza in una risorsa interna, simbolica ma viva. Scrivere di lui, raccontare la sua storia, creare un piccolo rito del ricordo — tutto questo può aiutare a non sentirlo perso, ma trasformato.

Perché, in fondo, chi ci ha salvati una volta continua a farlo. Solo che adesso lo fa da un altro luogo: dentro di noi.

 
 
 

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